
Teatro in Carcere: “altro giro, altra corsa…” alla Casa di Reclusione Donne di Giudecca
Teatro in Carcere: progetto teatrale Passi Sospesi Casa di Reclusione Donne di Giudecca
Giovedì 8 Settembre 2022, alle ore 16.00 (ingresso riservato), presso la Casa di Reclusione Donne di Giudecca, nell’ambito del progetto teatrale Passi Sospesi di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia, sarà presentato lo studio di teatro danza “altro giro, altra corsa…”, tratto dall’omonimo testo di Valentina Terracciano e diretto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro. Collaborazione artistica Massimo Burigana e Patrizia Ninu, foto Andrea Casari, video Luca Gavagna e Marco Valentini. Con Valentina Terracciano, allieva del laboratorio teatrale Passi Sospesi alla Casa di Reclusione Donne di Giudecca.
altro giro, altra corsa…
è il titolo scelto dalla protagonista della storia raccontata, vissuta, danzata, costruita con impegno, energia, sentimenti contrastanti, tensioni contrapposte, momenti altalenanti, tra rifiuto e accettazione.
Una storia che si definirebbe “ai margini”, alle periferie del mondo e dell’anima più dolorose ma che ha acquistato la forza di farsi voce e dignità comunque, grazie alla tenacia della sua interprete e grazie a uno degli elementi portanti del teatro, ancor più in situazione estreme, di originare un tempo sospeso, dove succede qualcosa che è un mondo altro, dove si sperimenta la possibilità di guardarsi dentro, di toccare la nudità delle paure e dell’oscurità ma, al contempo, di prenderne le distanze, trasformandole non solo in parole e azioni ma nella realizzazione dell’attore che esibisce la poesia del vivere. Nel qui e ora. Dove non c’è certezza di ciò che sarà, di ciò che rimarrà e di quanto un momento di vita, di cultura di vita resista e oltrepassi i fili spinati di una cultura di morte. In ogni modo, è accaduto, il corpo ha la possibilità di memorizzarlo e di attivare nuove immagini e resistenze, un primo passo verso, appunto, una cultura di vita.
L’hic dello spazio e il nunc del tempo teatrale hanno creato dei confini ben precisi, tangibili e profondi a cui era difficile sfuggire. L’esperienza rivelava, incontro dopo incontro, che quando si entrava in “pedana” quello spazio e quel tempo differenti dalla quotidianità, rendessero ingestibili operazioni usuali come fingere, ripetere, sottrarsi.
La tossicodipendenza è l’esempio più eclatante dell’effetto che provoca una cultura della morte. E forse l’esempio in cui la morte mostra una “vitalità” senza pari, la forza di strappare alla vita ogni responsabilità, ogni sogno, ideale, affetti, immagini.
E il teatro è ognuna di queste cose ed è soprattutto l’esperienza delle immagini, che possono anche contribuire a creare nuovi copioni e immagini di sé.
C’è un frammento di Hanna Segal che in qualche modo ha fatto da sottofondo a questo intenso e complesso lavoro: “Quando questo mondo dentro di noi è a pezzi e senza amore, quando i nostri cari sono distrutti e noi stessi in una disperazione impotente, allora dobbiamo ricreare il nostro mondo, rimettere insieme i pezzi, infondere vita ai frammenti morti, ri-creare la vita”.