LE TROIANE – Centro Teatro Universitario di Ferrara
Lo spettacolo “Le Troiane”, ha concluso il laboratorio teatrale “Linguaggi dell’attore e del teatro” dell’anno accademico 2007-2008, condotto da Michalis Traitsis presso il Centro Teatro Universitario dell’Università di Ferrara ed è stato presentato per la prima volta il 2 Luglio 2008, presso il cortile del Palazzo Tassoni, Centro Teatro Universitario di Ferrara.
Lo spettacolo è stato replicato al Festival di Teatro Universitario “In mota manens” di Salerno il 9 Aprile 2009 e il 10 Luglio 2009 al Teatro Comunale “De Micheli” di Copparo, in collaborazione con il Centro Studi “Dante Bighi”.
“… le guerre, tutte le guerre sono un orrore. Non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio…”
Gino Strada
“Le Troiane” è l’immagine di una città, Troia, devastata da una interminabile guerra.
“Le Troiane” è l’immagine di un Coro di donne piangenti, private di tutto, sposi, figli, patria, libertà, speranza, mentre aspettano di essere sorteggiate come schiave e di essere quindi deportate in terra nemica.
“Le Troiane” è l’immagine della violenza dei vincitori quando si riversa su quanti le guerre non le combattono direttamente ma le subiscono, soprattutto donne e bambini.
“Le Troiane” è una tragedia in cui le donne raccontano il dolore dei vinti.
Tutto è già accaduto, l’azione drammatica è tessuta di ricordi, di sogni, di violenza, di sguardi smarriti che sostanzia l’attesa delle donne prigioniere. In quel lembo di terra tra il mare e le macerie di Troia, tra i vincitori che partono e la città che brucia, le Troiane parlano, raccontano, urlano, bisbigliano, lasciano che la guerra e il dolore risuonino nella loro anima. Non c’è tempo per azioni, ma solo una sospensione del tempo che diventa interminabile attesa.
“Le Troiane” può essere vista come la tragedia dello sradicamento. Non c’è sradicamento più devastante di quello che non solo costringe un popolo ad abbandonare la propria terra, ma perfino lo priva, attraverso la distruzione della stessa, della speranza di potervi un giorno tornare. Non c’è sradicamento più violento di quello che non solo divide gli uomini dalle donne, i figli dalle madri, i vivi dai morti, ma anche separa dal proprio suolo, e distrugge una comunità dalla scena del mondo.